🇺🇸 Cosa ci fa Elon Musk in politica?
🇸🇾 Il crollo del regime di Assad spiegato; La settimana in Italia e nel mondo
Nell’uscita di oggi
🇺🇸 Elon Musk e la sua ascesa in politica
🇸🇾 Il crollo del regime di Assad
🇮🇹 Notizie dall’Italia nel mondo
🌍🔥 Cosa è successo nel mondo questa settimana
🇺🇸 Elon Musk e la sua ascesa in politica
di Michele Ditto
Gideon Rachman ha definito Elon Musk un “missile geopolitico non guidato”. La nota firma del Financial Times giustifica questa locuzione adducendo due elementi pertinenti all’imprenditore di Pretoria: la sua immensa ricchezza – Musk è di fatto l’uomo più ricco del mondo – e al contempo la sua natura imprevedibile.
Quest’ultima assume particolare significato alla luce del suo rapporto privilegiato con Donald Trump. Proprio la relazione con il tycoon oggi costituisce il lasciapassare di Musk per accedere alle stanze dei bottoni di Washington.
Dopo una parentesi democratica espressa in passato nel voto a favore di Hillary Clinton e Joe Biden, il businessman sudafricano negli ultimi anni ha infatti ribaltato le sue posizioni politiche, fino ad arrivare a promuovere attivamente le istanze dei repubblicani.
Musk ha finanziato la campagna elettorale del tycoon newyorkese con più di 250 milioni di dollari e ha spesso favorito su X, social di sua proprietà, la narrazione trumpista.
Alla fine dei conti, Musk ha ricevuto dal presidente eletto la guida di un nuovo ente: il dipartimento per l’efficienza governativa (Doge), ratificando così la sua definitiva ascesa in politica.
Cosa vuole Musk dalla politica
La sola notizia del trionfo del tycoon ha fatto bene alle imprese di Musk ancor prima che qualsiasi azione intrapresa dal Doge potesse ottenere lo stesso risultato: +12% il valore delle le azioni di Tesla all’apertura dei mercati finanziari il giorno seguente le elezioni. Quasi un immediato ritorno dell’investimento per l’imprenditore sudafricano.
Nato per snellire l’ipertrofico apparato burocratico americano, il nuovo dipartimento, che Musk guiderà insieme all’imprenditore ed ex candidato repubblicano di origini indiane, Vivek Ramaswamy, avrà un ruolo decisivo anche nel favorire indirettamente le sue aziende.
D’altronde, nemmeno lui ne fa mistero in un suo post su X: «faremo una revisione completa di tutte le agenzie governative […] ci sono molte persone che lavorano per il governo e abbiamo solo bisogno di trasferirle a ruoli più produttivi nel settore privato».
In questo senso, il Doge favorirà anche processi di deregolamentazione - una delle parole preferite dalle imprese - in modo da allentare i controlli dello Stato sul mercato e sganciare Tesla e Space X da alcuni limiti legislativi che il magnate sudafricano ha più volte definito come controproducenti.
Un obiettivo che Musk cerca di raggiungere anche fuori dai confini degli Stati Uniti. Dato che le sue aziende si configurano come delle multinazionali con interessi in tutto il mondo, l’imprenditore prova infatti a influenzare, allo stesso modo che in patria, anche la politica dei Paesi stranieri dove queste ultime operano.
Per esempio, Musk starebbe considerando l’idea di donare 100 milioni di dollari a Reform Uk, un partito di opposizione nel Regno Unito guidato da Nigel Farage, chiedendo in cambio la promozione di riforme di deregulation. Un’azione che ha fatto storcere il naso a più di un politico del partito laburista, da tempo ai ferri corti con Musk date le sue forti critiche all’attuale premier Keir Starmer.
In altri casi, Musk è finito addirittura per entrare in un aspro contrasto con le istituzioni di Stati stranieri. Il Brasile si è spinto fino a multare Starlink e a bloccare, per un breve periodo, l'accesso dei suoi cittadini a X, poiché l’azienda avrebbe operato al di fuori dei limiti imposti dalla legge.
Perché la politica vuole Musk
«È nata una stella: Elon», così Donald Trump, dal palco della vittoria il giorno dopo il risultato delle elezioni presidenziali, porgeva un lungo ringraziamento al suo più grande donatore per la campagna elettorale, parlando di lui come di «un super genio» da proteggere.
Il senso dell’intesa tra Musk e Trump non risiede solo nell’affinità ideologica tra i due, ma anche nel valore dei legami internazionali del primo. L’imprenditore di Pretoria coltiva infatti strette relazioni con l’élite del Partito comunista cinese. I rapporti sono da tempo cosa nota, tanto che Ramaswamy lo paragonava in passato a una “scimmia da circo” e a un pupazzo nelle mani della Cina.
Che Musk e Tesla abbiano un debito nei confronti di Pechino è comunque la verità. L’impresa di auto elettriche ha ricevuto miliardi di dollari in prestiti a basso costo, sussidi e agevolazioni fiscali dal governo cinese ed Elon si è più volte recato in Cina negli ultimi anni.
Inoltre, Tesla dipende per gran parte del suo fatturato dall’enorme mercato interno cinese e dalla sua mega fabbrica di Shanghai, che ha generato ricavi per 54 miliardi di dollari negli ultimi tre anni - il 23% delle vendite totali dell’azienda.
La scelta di Trump di legarsi a Musk appare dunque strana dato che l’amministrazione che ha deciso di comporre il tycoon è dominata da figure anticinesi, come il candidato segretario di Stato Marco Rubio. Oppure il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz, che ha definito la Cina come una «minaccia esistenziale».
Inoltre, la guerra commerciale che Trump ha promesso di ingaggiare con Pechino potrebbe nuocere gravemente agli interessi del Ceo di Tesla, che a quel punto potrebbe trovarsi ad agire come forza moderatrice all’interno dell’amministrazione repubblicana.
Potrebbe tuttavia essere proprio questo il senso dell’intesa tra il neoeletto presidente e Musk, ovvero la volontà del primo di dotarsi di una figura apprezzata dalle parti di Pechino, in modo da garantirsi un canale di comunicazione privilegiato. Oppure quella di far apparire la sua squadra di governo meno anticinese di quello che è in realtà.
Al di fuori di questo caso, il punto è che l’America di qualsiasi colore politico ha bisogno di Musk. I suoi stretti legami con alcuni dei leader più influenti del globo e il valore strategico delle sue aziende, che lavorano a stretto contatto con gli apparati governativi, lo rendono una figura quasi insostituibile.
Space X domina il settore dell’invio di satelliti nello spazio e riceve lauti contratti dal governo. Starlink è stato invece decisivo nella guerra in Ucraina, dato che ha fornito alle forze armate di Kiev una solida connessione satellitare, anche se sottoposta a condizionalità, come quella di non colpire la Crimea.
Tra le altre cose, sono proprio le costellazioni satellitari di Musk (oltre 6mila satelliti in totale) che oggi assicurano a Washington il primato spaziale sulla Repubblica Popolare Cinese.
Sebbene, da attore privato, gli interessi di Musk e delle sue aziende debbano rimanere sempre e comunque un passo indietro a quelli degli Stati Uniti, la sua graduale metamorfosi, da classico imprenditore ad aspirante politico, potrebbe mitigare la validità di questo vecchio assunto.
🇸🇾 Il crollo del regime di Assad
Nella notte tra sabato 7 e domenica 8 dicembre le forze di Hay’at Tahrir al-Sham (Hts) sono entrate a Damasco, ponendo fine al regime di Bashar al-Assad. Quest’ultimo è fuggito in Russia, dove ha ricevuto asilo insieme a molti della sua famiglia.
Il leader di Hts, Abu Muhammad Al Joulani – ex membro di Al-Qaeda e Al-Nusra – ha promesso un governo nuovo per il Paese e una politica inclusiva verso tutte le minoranze che ne compongono il complesso mosaico etno-religioso.
Il successo militare di Hts è un evento eccezionale: una conquista tanto rapida di così tanto territorio si è vista raramente nella storia. Il segreto di questo successo, però, potrebbe non essere totalmente imputabile ai ribelli.
Le forze governative, infatti, nella maggior parte dei casi si sono semplicemente ritirate concedendo spazio all’avanzata del nemico. Solo nei pressi di Hama e di Homs si è veramente combattuto e anche in quei casi senza particolare convinzione da parte delle forze lealiste.
Le ragioni di questa disfatta potrebbero essere molteplici, tra tutte la presenza di figure tra le fila del presidente già disposte a trattare con i ribelli…
Come dimostra la disponibilità del Primo Ministro Mohammad Ghazi Al-Jalali, capo del governo sotto Assad, a guidare la transizione d’accordo con i ribelli (sostituito però già lunedì da Mohammed al-Bashir). Ciò potrebbe dimostrare qualche tipo di accordo pregresso tra le parti.
Ad ogni modo, senza più Assad a Damasco crolla l’intera impalcatura geopolitica del Medio Oriente. Dopo i danni inferti a Hezbollah in Libano e ad Hamas a Gaza, l’Iran vede sgretolarsi l’asse della resistenza.
A vincere sono gli israeliani e soprattutto i turchi. A perdere i russi (in attesa di conoscere il fato della base di Tartus) e gli iraniani.
Quanto e fino a che punto Erdogan potrà esercitare un controllo diretto sui ribelli siriani è ancora da vedere, ma quanto accaduto negli ultimi dieci giorni è senz’ombra di dubbio un enorme successo per Ankara…
Su Aliseo, trovi un report che spiega le cause del crollo del regime e il futuro della Siria, la spiegazione di chi vince (Israele e Turchia) e di chi perde (Russia, ma soprattutto Iran)
Trovi il report sul sito di Aliseo
🇮🇹 Notizie dall’Italia nel mondo
Il governo “deve dare al Paese una politica industriale, favorire il rilancio del settore dell’auto e fare in modo che Stellantis continui a investire in Italia”. Lo ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani a margine dell’assemblea generale di Alis (l’Associazione logistica dell'intermodalità sostenibile) a Roma.
Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, si è recato in visita in Algeria, dove ha firmato due accordi di collaborazione nei settori dell’istruzione e della formazione professionale. L’obiettivo è portare nel Paese l’eccellenza della formazione italiana, replicando i modelli già attuati in Etiopia ed Egitto.
C’è un “grande potenziale” di collaborazione tra Italia e India nei nuovi settori del piano industriale italiano. Lo ha dichiarato il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, al quotidiano economico indiano “The Economic Times”, a margine della visita della nave italiana Amerigo Vespucci al porto di Mumbai nell’ambito del suo tour mondiale.
"Per sostenere il governo legittimo in Yemen, nell'ultima riunione di gabinetto abbiamo deciso di nominare un ambasciatore italiano per dare un segno di vicinanza alle legittime autorità del Paese che sono alleate dei Paesi del Golfo", ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervistato dal giornalista Bruno Vespa all'Assemblea generale di Alis.
"Se la politica, l'imprenditorialità, la ricerca si confrontano per lavorare in uno scenario di impegno comune, questo significa che il nostro Paese è maturo anche culturalmente per tornare alla produzione di energia nucleare". Lo ha detto il ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, intervenendo all'assemblea dell'Associazione italiana nucleare.
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