🇷🇺🌍 Cosa vuole la Russia dal Sahel?
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🇷🇺 La Russia e il Sahel: cosa vogliono l’uno dall’altro
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🇷🇺 La Russia e il Sahel: cosa vogliono l’uno dall’altro
di Michele Ditto
Sahel, dall’arabo Sahil, significa “bordo del deserto”. Una striscia lunga 8500 chilometri, che attraversa 12 Stati (Gambia, Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun, Ciad, Sudan, Sud Sudan ed Eritrea).
Crocevia di merci e uomini. Separé tra l’ecozona paleartica e quella afrotropicale. Principio della solitudine del Sahara per chi proviene da sud, inizio della fine delle sue avversità per chi viene da nord.
Come ogni area di passaggio che collega due punti altrimenti inarrivabili, chi controlla il Sahel controlla i traffici terrestri che dal nord Africa viaggiano verso il sud e viceversa. Proprio le rotte commerciali passanti di lì hanno caratterizzato, prima dell’arrivo dei coloni europei, la nascita e la prosperità dei regni saheliani: nessun’altra parte dell’Africa, escluse le coste del nord, ha visto una così numerosa presenza di poli di potere vicini gli uni agli altri.
La penetrazione della Russia nel Sahel
Oggi lo Scramble for the Sahel, rimaneggiando la famosa locuzione di fine Ottocento Scramble for Africa, interessa le maggiori potenze del pianeta, consapevoli della peculiarità geografica della regione, che si traduce in un tornaconto geopolitico per chi la amministra o riceve la simpatia dei popoli che la abitano.
Dalla fine della preminenza francese in loco – «la Françafrique è morta», diceva a settembre dello scorso anno l’ex ministra degli Esteri francese Catherine Colonna – con un serie di golpe a catena che hanno messo alla porta i militari dell’Eliseo (Mali 2021, Burkina Faso nel 2022 e Niger nel 2023), il “bordo del deserto” è tornato oggetto di contesa.
La Russia, senza mancare di una buona dose di cinismo e spregiudicatezza, è stato l’attore che più di tutti ha beneficiato della dipartita dei transalpini. Escogitato e messo a punto già in Libia e in Repubblica Centrafricana uno dei più efficienti sistemi di penetrazione per il continente africano – armi, sicurezza e propaganda antioccidentale – Mosca si è fatta trovare pronta a riempire il buco lasciato da Parigi.
Senza indagare se i colpi di stato antifrancesi siano stati più o meno organizzati dal Cremlino, le manifestazioni che chiedevano a gran voce la fine di quel legame speciale tra le ex colonie e la madrepatria pullulavano di bandiere della Federazione russa e simboli della Pmc Wagner – dimostrazione plastica del fronte a cui si sentono di appartenere gli ex colonizzati nella nuova competizione multipolare.
A lasciarci morire più di qualche speranza nel Sahel sono stati anche gli americani, che hanno appreso pochi giorni fa del completo naufragio della loro presenza in Niger, dove erano stanziati più di mille militari statunitensi nell’air base 201, costata circa 110 milioni di dollari, che non sarà abbandonata, ma sembra ospiterà circa 100 istruttori russi dell’Africa Corps giunti di recente a Niamey per addestrare le forze armate nigerine. Beffa estrema per Washington.
Allo stesso tempo è giunta voce anche dal confinante Ciad, per tramite di una lettera inviata dal governo di transizione, che il capo dell’aeronautica del Paese africano ha ordinato agli Stati Uniti di sospendere le attività in una base aerea vicino alla capitale N’Djamena.
Finora il Ciad non ha seguito i passi delle giunte militari in Burkina Faso, Mali e Niger nel porre fine alle collaborazioni militari con l’Occidente, ma il copione potrebbe ripetersi senza troppi stupori.
Cosa cercano i russi nel Sahel
I russi nel Sahel cercano facili affari: l’accesso all’uranio e al petrolio del Mali e del Niger, all’oro del Burkina Faso, e i contratti da milioni di dollari per la fornitura di mezzi militari e sistemi d’arma.
A metà marzo 2023, l’aeronautica militare del Mali ha messo in servizio una serie di nuovi velivoli tra cui 9 aerei da addestramento e attacco leggero L-39 dalla Russia. Le ultime forniture aeronautiche russe hanno riguardato altri L-39, 4 elicotteri Mi-24P, 4 Mi-35 da attacco, 4 Mi-8 e un singolo aereo d’attacco Su-25.
Tuttavia, quando una potenza come la Russia agisce in un quadrante estero, rilega il dato economico a questione secondaria. Per Mosca si tratta di offrire una formula di stabilità a una regione spesso definita come un “inferno” o un “regno del caos”.
Le insorgenze di attori non statali – spesso sigle terroristiche islamiste – e le crescenti crisi alimentari e climatiche, non fanno del Sahel la candela per cui vale il gioco, ovvero solo quello di una facile corsa alle prebende.
Il vero valore riguarda la sua centralità geografica come punto di passaggio delle rotte migratorie dirette verso il nord Africa e poi l’Europa, che minacciano di crescere esponenzialmente da qui al 2050, quando solo l’Africa subsahariana raggiungerà quota 2,1 miliardi di esseri umani.
La Russia, in combutta con i governi al potere, potrà fare pressioni per aprire o chiudere il rubinetto delle partenze – tenendo a mente che i traffici migratori sono pur sempre un business proficuo per chi li gestisce e li dirige - e ricattare in questo modo i Paesi Europei.
Per approfondire
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🇮🇹 Notizie dall’Italia nel mondo
Il nuovo Patto di stabilità e crescita ha incassato, a Strasburgo, il via libera del Parlamento Ue, con l’opposizione di tutti i maggiori partiti italiani. Il testo cambia le regole del gioco nella governance economica mantenendo da un lato i parametri del 3 e del 60% per il deficit e per il Pil ma concedendo dall’altro dei piani di rientro più graduali per i Paesi ad alto debito come Italia, Belgio, Grecia, Francia o Spagna. I governi potranno concordare con Bruxelles un piano di rientro che va da 4 a 7 anni in cambio della messa in campo di riforme per crescita e conti sostenibili. Il taglio annuale del debito, per chi è sopra la soglia del 90% del Pil, resta dell’1% annuo. Sul deficit, i Paesi che sforano il 3% sono chiamati ad una riduzione dello 0,5% annuo ma con un periodo transitorio che arriva fino al 2027.
Il presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Teodoro Valente, e l'amministratore delegato dell'Agenzia Spaziale Egiziana (EgSa), Mohamed Sedky, hanno firmato un memorandum d'intesa al Cairo alla presenza del ministro dell'Industria e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel quadro della visita di Stato di quest'ultimo in Egitto. L'accordo ha per obiettivo principale il rafforzamento della collaborazione nel settore spaziale tra Italia ed Egitto al fine di favorire investimenti e partnership a lungo termine. La collaborazione tra l'Asi e l'EgSa faciliterà, infatti, gli investimenti nel settore spaziale anche da parte delle industrie del settore, che insieme alle agenzie spaziali, potrebbero sviluppare progetti e iniziative di comune interesse a livello mediterraneo, in Africa e a livello internazionale.
Martedì Giorgia Meloni ha ricevuto a Roma il ministro del Commercio degli Stati Uniti, Gina Raimondo. I due hanno discusso delle priorità della presidenza italiana del G7 e delle “rispettive strategie e iniziative nei settori tecnologici e industriali di interesse prioritario, a partire dai semiconduttori e dalle applicazioni dell'intelligenza artificiale”. Il tema di fondo era dunque quello di come limitare le dipendenze economiche da Paesi come Russia e Cina. La risposta è stata trovata nel rimodellamento delle catene di approvvigionamento attraverso investimenti reciproci: il cosiddetto “friendshoring”.
E’ durata poco più di tre ore la visita-lampo di martedì in Tunisia da parte del ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto. Una missione tesa ad aumentare ulteriormente la collaborazione bilaterale in atto, nell’ambito di una più ampia intesa tra il governo italiano e quello tunisino. La missione di Crosetto si è tenuta nell’ambito della 25esima riunione della Commissione militare mista italo-tunisina. Al termine della riunione è stato firmato il Piano di cooperazione bilaterale 2024 che prevede oltre 46 attività congiunte tra le Forze armate italiane e tunisine (26 in Italia e 20 in Tunisia), volte a promuovere lo scambio di esperienze, la formazione e che riguardano l’addestramento, le operazioni, la sanità militare, lo scambio di informazioni anche satellitari e il potenziamento delle capacità difensive di entrambi i Paesi.
È soprattutto d’investimenti e di cooperazione nel settore della sicurezza che il presidente del Tagikistan, Emomali Rahmon, ha parlato martedì a Roma con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con la quale a Palazzo Chigi ha assistito alla firma di sette accordi di cooperazione. Una visita per la quale il Tajikistan premeva da tempo e che, dall’altra parte, conferma il crescente interesse di Roma per l’Asia centrale, che troverà ulteriore conferma tra un circa un mese con la conferenza Italia-Asia centrale nel formato 1+5, che avrà luogo a Roma. L’ultima riunione di questo genere si era tenuta a Tashkent nel dicembre del 2021.
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