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🌐⚔️Che anno sarà geopoliticamente il 2025?
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🌐⚔️Che anno sarà geopoliticamente il 2025?
di Carlo Andrea Mercuri
L’anno appena trascorso è stato prodigo di eventi geopolitici pivotali. Dalla repentina detronizzazione di al-Assad in Siria all’evoluzione delle guerre in Europa e nel Vicino Oriente, fino all’elezione di Trump e all’impeachment di Yoon: il panorama che si delineerà nel 2025 è prodotto diretto dell’anno appena trascorso.
In uno scenario mutevole come quello degli ultimi anni fare delle previsioni può rivelarsi esercizio complesso e fallace. Tuttavia, l’analisi degli eventi verificatisi nel 2024 può fornire un utile strumento per comprendere cosa accadrà nei prossimi mesi.
Sia in ordine temporale che di importanza, l’evento più rilevante che si verificherà a strettissimo giro è l’insediamento di Trump alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio.
Dallo scontro a Gaza al confronto strategico con la Cina, fino all’Ucraina, il tycoon si troverà a dover gestire molti dossier scottanti una volta rientrato al 1600 di Pennsylvania Avenue.
La guerra in Ucraina non si fermerà (in 24ore)
Durante la campagna elettorale Trump ha promesso di far terminare la guerra in 24 ore, addirittura prima del suo insediamento. Per raggiungere (in ritardo) l’obiettivo, il magnate newyorkese intende fare affidamento sia sulle sue doti negoziali che sulla conoscenza personale di Putin e Zelensky.
Benché entrambe le parti abbiano lasciato trasparire la volontà di intavolare negoziati, nei fatti Mosca e Kiev hanno una visione estremamente divergente delle modalità attraverso cui le ostilità potrebbero cessare.
Se Zelensky si appoggia alla litania della restituzione dei territori conquistati manu militari dalla Russia, Lavrov e Putin hanno appena bocciato la bozza del Piano Trump che prevedeva di ritardare l’ingresso di Kiev nella Nato per vent’anni e l’invio in Ucraina di peacekeeper occidentali.
La Russia punta a una soluzione a lungo termine che certifichi le conquiste sul campo, neutralizzando l’Ucraina, impedendole di fatto l’adesione all’Alleanza. Gli Stati Uniti possono invece concedere una tregua che imponga uno stallo alla coreana, riconoscendo de facto la situazione senza tuttavia accettarla ufficialmente.
Ciò implicherebbe infatti la possibilità di poter modificare i confini e sostanziare le pretese geopolitiche di Paesi revisionisti tramite l’uso della forza.
Paradossalmente, nel 2025 la guerra potrebbe subire un’escalation. L’assassinio del generale Kirillov e le manovre nel Kursk non lasciano immaginare un abbassamento delle tensioni. Parimenti, Mosca affronterà crescenti problemi domestici che si potrebbero riverberare sul prolungamento del conflitto.
Le stime di crescita economiche della banca centrale russa per il 2025 si attestano tra lo 0,5 e l’1,5%. Molto inferiori rispetto al 3,5-4% dell’anno appena trascorso.
L’economia di guerra impostata da Mosca sta subendo una flessione e un eventuale tregua potrebbe paradossalmente aggravare la situazione in patria, fermo restando che le sanzioni imposte a Mosca non saranno rimosse con leggerezza.
Il dossier ucraino potrebbe rivelarsi molto più complesso di quanto auspicato da Trump.
Il Medio Oriente sarà al centro della discussione geopolitica quest’anno
Altro fronte caldissimo è quello mediorientale. La recente caduta di Assad mescola ulteriormente le carte su un tavolo già complesso. Il futuro della Siria è quasi intellegibile. Al-Jolani sta impostando una politica definibile come cerchiobottista, funzionale a cementare il potere in un Paese tutt’altro che pacificato.
La “svolta moderata” prospettata dall’Hay’at Tahrir al-Sham (Hts) potrebbe essere solo di facciata per prendere tempo e ottenere aiuti dall’Occidente. Le aperture fatte ai russi, che potrebbero tenere le proprie basi di Tartus e Khmeimim, sembrano voler protendere verso la necessità di non precludersi alcuno scenario, in un contesto in cui Damasco non ha ancora chiaro il suo futuro.
La Siria esce devastata dalla lunga guerra civile e oggi è ancora impossibile dire se il Paese verrà riunificato pacificamente, diverrà un califfato islamista o si involverà in uno Stato fallito sul modello somalo.
Gli Stati Uniti chiedono moderazione, esortando il governo di Mohammad al-Bashir a rispettare il pluralismo politico e i diritti umani, oltre proseguire la lotta contro l’Isis. Washington vuole evitare che l’implosione siriana porti con sé ulteriore instabilità in un’area che impatta anche su Paesi come Turchia e Israele.
Proprio quest’ultimo rappresenta l’altra incognita regionale che graverà geopoliticamente nel 2025: la campagna portata avanti da Tel Aviv dopo gli attacchi del 7 ottobre ha praticamente raso al suolo Gaza, provocando oltre 40mila morti.
La sopravvivenza politica di Netanyahu sembra essere indissolubilmente legata alla prosecuzione delle attività belliche.
La dissoluzione del regno di Assad ha dato adito a un avanzamento tattico delle forze armate israeliane in Siria. L’esercito di Tel Aviv (Tsahal) ha profittato del caos generato dalla caduta del regime per spingersi dentro la buffer zone che separava le due forze armate.
Dalle alture del Golan le forze di terra israeliane sono avanzate nella zona demilitarizzata catturando il Monte Hermon, la vetta più alta dell’area dalla quale è possibile sorvegliare sia Siria che Libano.
In aggiunta, Tsahal ha condotto attacchi chirurgici contro infrastrutture e mezzi militari siriani, dimidiandone fortemente le capacità belliche.
L’avvento di Trump è un fattore positivo per Tel Aviv. Sebbene il tycoon abbia richiesto il termine delle ostilità è verosimile credere che il suo Gabinetto si caratterizzerà per una stretta vicinanza a Israele.
Nel farlo, potrebbe garantire ulteriore mano libera a Tel Aviv nella regione, con lo scopo di usare Israele in funzione anti-iraniana. Teheran, che esce pesantemente colpita dagli eventi del 2024 (i suoi proxy Hezbollah e Hamas hanno subito pesanti sconfitte per mano israeliana) potrebbe vedere minacciato il suo programma nucleare.
Già colpita dagli attacchi israeliani, che hanno indebolito pesantemente le sue difese aeree, Teheran potrebbe ora subire un duro colpo al programma atomico, ultima carta di deterrenza giocabile in uno scenario sempre più avverso al regime degli Ayatollah.
L’Indo Pacifico e le sue incognite
Sebbene non vi siano conflitti attivi ad alta intensità (se si esclude la guerra civile in Myanmar), l’indo Pacifico rimane un’area estremamente volatile da attenzionare nel 2025.
I rapporti intercoreani hanno subito un progressivo deterioramento negli ultimi 12 mesi. All’inizio del 2024 Kim Jong-un ha dichiarato di non voler più perseguire la riunificazione della penisola, dichiarando i rapporti tra Seoul e Pyongyang come ostili. Il leader nordcoreano ha poi dichiarato alla Suprema Assemblea del Popolo che la Repubblica di Corea è ora il nemico principale.
A sud del 38° Parallelo, il Presidente Yoon Suk-yeol nel dicembre scorso, in pieno calo di consensi, ha emanato la legge marziale nel Paese. Provvedimento scongiurato dopo poche ore grazie al voto parlamentare.
Ora il Presidente sudcoreano rischia (oltre all’arresto) la convalida dell’Impeachment da parte della Corte costituzionale, votato a maggioranza in Parlamento anche dai membri del suo Partito.
In questo complesso scenario si innesterà la politica di Trump verso la Penisola coreana. Il Presidente eletto non ha mai fatto mistero del suo rapporto con Kim e potrebbe sfruttare il suo secondo mandato per riesumare i colloqui con Pyongyang interrotti nel 2019.
Tuttavia, lo sfondo è profondamente mutato: la Corea del Nord ha stretto una partnership strategica con Mosca per ora vincente per entrambe le parti. Pyongyang è meno isolata rispetto al 2019 e trova nella Russia un partner affidabile che le garantisce un aiuto tecnologico ed economico.
Teatri chiave come Ucraina e Medio Oriente derubricano poi, almeno nel breve periodo, il dossier coreano a secondario. Difficilmente quest’anno si vedrà un vertice Trump-Kim, anche se il tycoon potrebbe considerare di mettere sul piano il riconoscimento de facto dell’arsenale nucleare nordcoreano per superare l’empasse del 2019.
L’alleanza con Seoul rimarrà solida anche sotto Trump, ma le incognite legate alle politiche della prossima amministrazione, unite alle debolezze mostrate dall’apparato governativo sudcoreano gettano un’ombra sulla Corea del Sud.
Non è impensabile che Trump chieda ai coreani maggiore partecipazione economica alla difesa del Paese e che contestualmente cerchi di chiudere un accordo con Pyongyang, ridimensionando le garanzie securitarie della Repubblica di Corea.
Seoul potrebbe vedersi costretta a sviluppare un proprio programma nucleare per contrastare l’arsenale atomico nordcoreano in uno scenario dove gli Stati Uniti sono meno inclini a spendersi per la difesa dell’alleato, dovendo concentrare i propri sforzi su altri attori, come la Cina.
La Repubblica Popolare è l’altro rebus regionale. Sotto Biden le relazioni con Pechino hanno visto timidi segnali di disgelo, con il ristabilimento del dialogo tra i rispettivi vertici militari. In campagna elettorale Trump ha invece promesso l’innalzamento dei dazi sui prodotti cinesi fino al 60%.
La presenza di Musk nel prossimo governo potrebbe però alleggerire la retorica trumpiana. Non è un mistero che il magnate di origini sudafricane vanti importanti relazioni commerciali e politiche con la Cina. Musk, che ha finanziato la campagna elettorale di Trump, potrebbe fare pressioni per non inasprire eccessivamente i rapporti tra Washington e Pechino.
Xi Jinping ha ricevuto in più occasioni gli apprezzamenti da parte di Trump ma le le frizioni in essere, saranno difficilmente superabili solo grazie ai rapporti personalistici tra i due. Una di queste è senza dubbio Taiwan.
Sebbene il tycoon si sia mostrato tiepido nei confronti dell’isola, accusando Taipei di approfittarsi della generosità degli Stati Uniti, rubando quote di mercato dei semiconduttori a Washington, Taiwan è un bastione che funge da barriera naturale, funzionale al contenimento cinese.
L’isola rimane parte integrante della strategia americana nell’Indo Pacifico e il magnate newyorkese è consapevole della sua importanza. Il 2 dicembre 2016, prima di entrare in carica, Trump non a caso telefonò all’allora Presidente Tsai Ing-wen, primo colloquio diretto tra un Presidente americano e la controparte taiwanese dal 1979.
Il 20 gennaio presenzieranno all’insediamento di Trump esponenti dei tre principali partiti politici dell’isola. Segnale di come Taiwan rimanga un baluardo imprescindibile nel confronto con Pechino, sebbene non sia riconosciuta diplomaticamente da Washington.
Africa e Sud America chiudono il cerchio
L’Africa rimarrà fonte di instabilità anche nel 2025.
Con 12 milioni tra profughi e sfollati la guerra civile in Sudan si conferma come la più grave crisi umanitaria mondiale in atto.
Il conflitto in corso tra le Forze di Supporto Rapido di Dagalo e l’esercito sudanese di al-Burhan sembra essere arrivato a una fase di stallo, ma la crisi del Paese è destinata a peggiorare anche a causa dell’intervento di soggetti esterni come russi, sauditi ed emiratini.
Sempre nell’Africa Subsahariana particolare attenzione deve essere posta al conflitto latente tra Repubblica Democratica del Congo e Rwanda, che finanzia movimenti ribelli in suolo congolese come l’M23.
In America Latina, invece, Paesi come Venezuela e Cuba, in preda a forti tensioni socioeconomiche, dovranno essere osservati da vicino, soprattutto con l’avvento di Trump.
L’isola caraibica, già vittima di una grave crisi economica (Cuba è affetta da continui blackout), dovrebbe vedere un ulteriore inasprimento dell’impianto sanzionatorio imposto da Washington, in ossequio alla linea dura dimostrata dal tycoon nel suo primo mandato.
Parimenti, il mancato riconoscimento del risultato elettorale del 2024 da parte di Maduro fornirà un pretesto per intensificare la pressione sul regime venezuelano da parte di Washington. Su questi due Paesi pesa poi il rapporto instaurato con Mosca e Pechino che preclude ogni eventuale distensione con l’egemone continentale.
Vi sarebbero altri teatri da prendere in considerazione, dalla crisi politico-economica tedesca alle tensioni tra Stati Uniti e Messico sulla questione migratoria, a cui si aggiungono le minacce di Trump a Panama per la gestione dell’omonimo canale.
È già chiaro che il 2025 si appresta ad essere un anno estremamente caldo dal punto di vista geopolitico.
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