🇷🇺 Il mondo dei russi
Come il passato detta ancora il futuro di Mosca: scopri il nuovo numero della rivista di Aliseo
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di Francesco Dalmazio Casini
In esclusiva per gli iscritti a Lumina, il primo capitolo dell’editoriale de Il mondo dei russi, il nuovo numero della rivista di Aliseo
Il 16 giugno del 2023, Vladimir Vladimirovich Putin si trova sullo yacht Okhta, ancorato nel Golfo di Finlandia. A poche centinaia di metri dalla riviera di San Pietroburgo, soprintende a una cerimonia particolare.
Sulle immense aste che sovrastano il Parco del Tricentenario vengono issate in rapida successione tre bandiere: il tricolore giallo-nero-bianco della Russia imperiale, il drappo rosso dell’Unione Sovietica e infine i colori della Federazione. L’evento – spiegano da Gazprom, che ne ha finanziato la realizzazione – ha lo scopo di marcare la «trinità che simboleggia la continuità della nostra storia».[1]
Giustapposizione stonata già vista tra le rovine delle città ucraine conquistate; lì dove la bandiera della 150esima divisione di fucilieri motorizzati – la stessa issata dai sovietici sul Reichstag – fa capolino assieme alle icone ortodosse; dove non è raro incontrare soldati che sulla propria divisa appongono la falce e il martello accanto al nastro di San Giorgio, onorificenza della Russia imperiale.
L’inconciliabilità solo apparente di tali simbologie aiuta a intendere il senso russo per la storia – lo stesso che determina l’antica difficoltà da parte occidentale a spiegarsi (figuriamoci a prevedere) i disegni moscoviti.
La lente attraverso cui i decisori russi guardano alla geopolitica è infatti quella della metastoria, che lo scrittore nazionalista Alexander Prokhanov ha definito come «il grembo materno da cui è nata la Rus’ di Kiev, la Moscovia, l’impero di Pietroburgo e lo Stato rosso sovietico».[2]
Più che una successione di eventi, un terreno di coltura storico da cui l’originale civiltà russa trae di volta in volta un ordine concreto. Quale che sia la forma politica adottata dalla madrepatria – prosegue Prochanov – questa è destinata a ispirare nei russi «un sentimento filiale, una santa gratitudine».[3] Riconciliare e preservare la totalità degli stimoli culturali dei secoli passati è dunque condizione necessaria – se non obiettivo di per sé – per chiunque sieda sul trono del Cremlino.
Per ogni impero la storia è materia viva, da cui trarre legittimità per l’azione odierna. Nel caso russo la percezione di vivere immersi in un’unica, grande, vicenda storica trascende però la dimensione strumentale.
Il 21 febbraio del 2022 – presa già la decisione fatale sull’Ucraina – Putin parla alla nazione nominando per ben 11 volte Vladimir Lenin e la sua fallimentare idea di un’Unione Sovietica confederale, che ne fa «creatore e architetto» del nazionalismo ucraino e, in ultima analisi, responsabile del divorzio tra “piccoli” e “grandi” russi.[4]
In un celebre articolo dell’anno precedente, il presidente risaliva ancora più indietro e indicava nelle invasioni di Batu Khan e nel dominio dell’Orda d’Oro l’origine della dolorosa frattura.
La storia quale materia di interesse nazionale – tanto bussola quanto patrimonio – è un concetto chiave della Strategia di Sicurezza Nazionale russa del 2021. Un documento in cui Mosca mette in guardia dai pericoli del revisionismo e collega esplicitamente la salvaguardia del Paese alla difesa della «memoria storica e della continuità delle generazioni».[5] Paure, visioni e traumi trovano la strada attraverso le epoche, favorite da un apparato pedagogico sempre più pesante.
Dal 2022, ad esempio, in tutte le scuole russe è stato introdotto un ciclo di lezioni settimanale sulle “conversazioni importanti” – utili a elaborare in chiave russa gli avvenimenti di attualità.
Nel 2015, per decreto presidenziale, era invece stato creato il Movimento militare patriottico sociale della “Giovane Armata” (Yunarmiya), che promuove i valori tradizionali e fornisce corsi di addestramento (militare e non) agli studenti di età inferiore ai 18 anni.
Questa propaganda si innesta su una società in larghissima parte ricettiva del messaggio, impregnata di un aggregato di nostalgia, aspirazione alla grandezza e senso di rivalsa. Emozioni che emergono chiaramente in quelle rilevazioni secondo cui la stragrande maggioranza dei russi rimpiange l’epoca sovietica e individua ancora in Iosif Stalin la figura più luminosa della storia patria.[6]
Alla stessa matrice possiamo ricondurre la recente ascesa del genere letterario del popadantsvo– racconto fantastico in cui i protagonisti viaggiano accidentalmente nel tempo.[7]
E qui, regolarmente, si trovano al centro della storia russa, tentando di alterarla per il meglio: evitano la disfatta di Tsushima, impediscono il crollo dell’Urss, arrivano a suggerire a Stalin di disfarsi di Boris Eltcin e Mikhail Gorbachev in fasce.
Incapace di comprendere un approccio tanto distante dalla propria visione della storia – rigida e compartimentata successione di eventi distinti –, all’Occidente continua a sfuggire la chiave per decifrare l’enigma russo. La sua inclinazione oscilla – da sempre – tra una feroce russofobia e un’euforica russofilia.
Così fu agli albori del “Grande gioco”,[8] quando, in una manciata di anni, Pietroburgo passò nei titoli della stampa da cruciale alleato contro Napoleone a nemico mortale dell’impero inglese e dei suoi valori.
E oggi quel Vladimir Putin che viene spesso paragonato a un novello Hitler è lo stesso che il Times, attribuendogli il titolo di uomo dell’anno, nel 2007 celebrava come leader pragmatico, destinato a traghettare finalmente Mosca nel mondo globale.
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