Nell’uscita di oggi
🇯🇵🇨🇳 Il Giappone si riarma contro la Cina
🌍🔥 Cosa è successo nel mondo questa settimana
🇯🇵🇨🇳 Il Giappone si riarma contro la Cina
di Michele Ditto
La Cina è il principale rivale strategico degli Stati Uniti, ma anche del Giappone. Con la differenza che se la sfida lanciata da Pechino a Washington si limita a voler intaccare l’egemonia globale di quest’ultimo, per il Paese del Sol Levante il pericolo cinese rappresenta invece una minaccia esistenziale, che arriva persino a contestare la sua sovranità territoriale, come nel caso della disputa per le isole Senkaku.
Di fronte alla vertiginosa ascesa della Repubblica Popolare, nell’ultimo decennio Tokyo ha quindi dovuto ribaltare la propria postura internazionale. Una vera e propria rivoluzione del suo ruolo in Asia orientale, che ha condotto il Paese a essere una delle potenze militari meglio preparate della regione nonostante il suo “pacifismo costituzionale”, incarnato dall’articolo 9 della Costituzione.
Quest’ultimo, che prevede la rinuncia alla guerra come diritto sovrano della nazione e permette il mantenimento di sole forze di auto-difesa, è stato appositamente reinterpretato sotto la quasi decennale leadership dell’ex premier Shinzo Abe.
Una serrata battaglia politica portata avanti dai principali partiti di sinistra ne ha infatti impedito la riforma nella Dieta nazionale, voluta invece dai liberaldemocratici.
L’aumento delle spese militari non basta
L’opposizione in parlamento non è comunque riuscita a impedire al Paese di aumentare progressivamente la spesa militare. Storicamente, Tokyo manteneva il bilancio della Difesa intorno all’1% del Prodotto interno lordo, ma dal 2023 ha avviato un programma quinquennale per raddoppiare il budget entro il 2027, portandolo al 2% del Pil (in linea con lo standard della Nato).
Per il corrente anno fiscale, il governo giapponese ha approvato lo scorso dicembre un bilancio per la Difesa senza precedenti, pari a circa 50 miliardi di euro – a confronto, l’Italia ne spende 32.
L'importo copre in particolare misure volte ad attirare reclute nelle Forze armate, dato che i giapponesi sono il popolo più anziano del mondo (circa 48 anni di età media), davanti agli italiani. Basti pensare che nel 2023 soltanto il 51% – la percentuale più bassa mai registrata – degli obiettivi di arruolamento è stato raggiunto.
La demografia è sicuramente un grande limite per le rinnovate ambizioni militari del Giappone, ma non è l’unico. A questo si somma anche il rallentamento dell’economia, l’arretratezza dell’industria militare autoctona e l’eccessiva dipendenza di Tokyo dai sistemi d’arma statunitensi (tutti temi che avevamo trattato qui).
Le nuove armi del Giappone
La modernizzazione e l’espansione dell’arsenale militare giapponese passa soprattutto per il potenziamento della Marina militare e per l’acquisizione di capacità di attacco a distanza attraverso lo sviluppo di una componente missilistica domestica (intercettori, antinave, d’attacco, anche ipersonici).
Proprio questi sistemi giocherebbero il ruolo più importante in un ipotetico conflitto su larga scala nell’Indo Pacifico.
In attesa dello sviluppo di missili di produzione nazionale – si pensa entro il 2030 – il Giappone ha importato dagli Stati Uniti un migliaio di missili da crociera Tomahawk, con gittata di oltre 1.500 chilometri.
Parallelamente, ha finanziato la creazione di varianti avanzate del missile indigeno anti-nave Type-12, per trasformarlo in un vettore a raggio esteso, capace di arrivare a colpire anche le città cinesi.
L’obiettivo principale di Tokyo è infatti quello di dotarsi di un arsenale in grado di garantire una capacità di contrattacco credibile. Una priorità messa nero su bianco nei nuovi documenti strategici pubblicati alla fine del 2022, in cui lo sviluppo di una capacità di counterstrike viene giustificato come una necessità dettata da un «ambiente strategico sempre più severo», per usare le parole dell’ex premier Fumio Kishida.
La componente delle Forze di autodifesa del Giappone (Jieitai) che sta ricevendo i maggiori investimenti è però la marina. Per la prima volta dal 1945, il Giappone è tornato ad avere delle portaerei operative.
Negli ultimi anni i due grandi cacciatorpediniere portaelicotteri classe Izumo sono infatti stati convertiti in portaeromobili, attrezzate per imbarcare aerei F-35B a decollo corto.
L’arma blu nipponica starebbe anche sviluppando in congiunzione con gli Stati Uniti una poderosa flotta di piccole imbarcazioni stealth senza equipaggio da affiancare alla nuovissima classe di fregate Mogami, punta di diamante del progetto di riarmo navale giapponese.
Anche il comparto sottomarino è stato sviluppato nell’ultimo decennio. Oggi il Giappone possiede 24 vascelli di questo tipo, un numero che garantisce al Paese la quarta flotta di sottomarini più estesa al mondo.
Per quanto riguarda invece l’esercito, nel 2018 Tokyo ha creato una brigata anfibia di pronto intervento (Amphibious Rapid Deployment Brigade), sulla scia dei marines americani. Questa unità, forte di quasi 3mila effettivi (in espansione), è specificamente addestrata per condurre operazioni anfibie, ovvero sbarcare su isole remote e riconquistarle in caso di occupazione nemica.
Infine, relativamente alla forza aerea, Tokyo partecipa insieme al Regno Unito e all’Italia al Global Combat Air Programme (Gcap), un progetto volto a sviluppare un caccia di sesta generazione entro il 2035.
Per giunta, l’aeronautica giapponese sta aggiornando la propria flotta di velivoli: è in corso l’acquisizione di 105 caccia F-35A e 42 F-35B per sostituire i vecchi F-4, mentre gli F-15J saranno ammodernati.
Il riarmo del Giappone pare quindi non lasciare scoperta nessuna componente delle Jieitai, costrette a rimodularsi nell’ottica di un vero e proprio scenario di guerra di fronte al repentino mutare dell’equilibrio di potere nell’Indo-Pacifico.
Per Tokyo è dunque tempo di tornare nella storia, un richiamo al quale non può non dare ascolto data la grandezza della minaccia che abbuia il sole nascente.
🇮🇹 Notizie dall’Italia nel mondo
L’Italia non è disponibile a inviare i propri militari in Ucraina nello scenario proposto da Francia e Regno Unito. Questa è la linea con cui Giorgia Meloni si è presentata al summit dei 'volenterosi' a Parigi. Il comunicato ufficiale di Palazzo Chigi sulla questione mette nero su bianco la posizione condivisa dall’esecutivo, soprattutto dopo giorni di forti fibrillazioni fra Matteo Salvini e Antonio Tajani.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per un'indagine inefficace sull'origine del tumore polmonare che, nel 2010, ha causato la morte di un operaio dell'Ilva esposto all'amianto. I giudici di Strasburgo hanno rilevato che le autorità interne si sono espresse più volte in modo discordante, senza stabilire un nesso certo tra il decesso e l'esposizione alle sostanze nocive nello stabilimento di Taranto.
L’imposizione dello schwa e degli asterischi nella lingua italiana “sarebbe un atto di violenza della lingua italiana”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ospite della trasmissione “Mattino cinque news” in onda su Canale 5, parlando della circolare diffusa dal ministero per eliminare dagli atti ufficiali schwa e asterischi usati per un linguaggio più inclusivo.
La Cina “può essere di grande aiuto” per giungere ad una “pace giusta” in Ucraina e in Medio Oriente. Lo ha detto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, incontrando la stampa a Pechino nel quadro della sua prima visita nel Paese asiatico. Cina e Italia possono rivestire “un ruolo comune per una pace giusta e duratura nei luoghi di conflitto”, ha sottolineato il presidente del Senato.
A oltre tre anni dall’inizio dell’aggressione russa in Ucraina, questa resta la principale minaccia per la sicurezza europea. Lo ha detto il ministro degli esteri, Antonio Tajani, in audizione davanti alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. “Fermare il conflitto è per noi un priorità”, ha detto Tajani, aggiungendo che “i negoziati in Arabia Saudita condotti dagli Stati Uniti sono un segnale incoraggiante”.
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