🇺🇸 La politica estera di Donald Trump
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🇺🇸 Come cambierà la politica estera americana se Trump tornerà alla Casa Bianca?
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🇺🇸 Come cambierà la politica estera americana se Trump tornerà alla Casa Bianca?
di Michele Ditto
Crescono le speranze e i timori di alleati e nemici degli Stati Uniti per il possibile ritorno alla Casa Bianca dell’ex presidente repubblicano Donald Trump. Ad alimentare queste aspettative, oltre alle imminenti elezioni presidenziali di novembre, alcune dichiarazioni caustiche che il Tycoon ha rilasciato negli ultimi mesi.
A febbraio di quest’anno Trump ha affermato che incoraggerebbe la Russia ad attaccare i membri della Nato che non investono abbastanza in difesa; lo stesso mese ha dipinto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky come «il più grande venditore della storia», dato che ogni volta che arriva negli Stati Uniti «se ne va con 60 miliardi di dollari»; infine, ha affermato che porrebbe fine alla guerra russo-ucraina nel giro di 24 ore.
Non è un dettaglio che queste dichiarazioni siano state fatte in un clima di campagna elettorale, un momento in cui i politici non devono scontrarsi con i limiti dell’azione di governo. Lo stile retorico del magnate newyorkese è sempre stato provocatorio e molto pragmatico, tanto che la sua linea di politica estera è stata associata alla “madman theory”: la teoria del pazzo che fu teorizzata a partire dall'azione di Richard Nixon durante la Guerra fredda.
Lo afferma il padre del realismo politico Niccolò Macchiavelli nei “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio” che è «una cosa veramente saggia simulare la pazzia», soprattutto in ambito di trattative.
Trump, ancora durante la sua prima presidenza, pare aver parzialmente dato ascolto al diplomatico fiorentino, dato che le promesse della campagna elettorale non si sono riflesse nelle decisioni assunte tra 2016 e 2020.
È per questo che secondo molti analisti Trump sarebbe una “tigre di carta”, e una volta reinsediatosi nell’ufficio ovale non cambierebbe radicalmente l’attuale politica estera degli Stati Unti. A dare forza a questa teoria, anche il fatto che negli States sono principalmente la burocrazia e i grandi apparati a definire le linee di condotta del Paese e a influenzare la presidenza.
Tuttavia, alcune proposte specifiche di Trump, se attuate, potrebbero segnare una differenza sostanziale per la risoluzione di alcuni dossier internazionali – sui quali l’amministrazione Biden pecca d’irresolutezza – e inaugurare così un nuovo corso per la politica estera degli Stati Uniti.
Come Trump intende agire se tornerà alla Casa Bianca
Il tavolo più importante sul quale si giocherà la credibilità di un secondo mandato di Trump e su cui il tycoon ha speso molto del suo capitale politico in campagna elettorale è sicuramente quello ucraino.
Robert C. O’Brien, ex consigliere per la sicurezza nazionale durante il primo mandato Trump e aspirante segretario di Stato o della Difesa, ha chiarito sulle pagine del Foreign Affairs quale sarà la posizione di Trump riguardo alla questione ucraina e agli altri principali dossier di politica estera.
Nel primo caso la scelta del candidato alla presidenza non sarebbe quella di abbandonare Kiev, come spesso si pensa in Europa. In campo repubblicano è addirittura in corso un dibattito sulla possibilità di rimuovere i limiti alle forniture belliche imposte dall’amministrazione Biden, in modo da costringere la Russia al tavolo dei negoziati.
La volontà rimane infatti quella di porre fine al conflitto, ma attraverso l’approccio del “peace through strength”. Ovvero ristabilire le gerarchie sul piano internazionale attraverso una postura maggiormente assertiva. In altre parole, l’America deve mostrare i muscoli.
Su Cina e Israele le discontinuità con l’attuale presidenza saranno meno marcate. A detta del professore Mario Del Pero, con Trump si registrerà una maggiore aggressività retorica nei confronti di Pechino, ma è difficile immaginare svolte radicali. Lo stesso discorso vale per l’attuale guerra tra Israele e Hamas, in cui una nuova leadership repubblicana sarebbe oggi ancor più schierata a fianco di Benjamin Netanyahu.
In Medio Oriente sarebbe l’Iran a subire più di tutti l’avvicendamento tra democratici e repubblicani. Sempre secondo O’Brien, il ritorno di Trump coinciderebbe con il ritorno alla massima pressione sulla Repubblica Islamica, che secondo molti membri del Grand old party sarebbe la vera fonte dell’attuale instabilità della regione. Teheran andrebbe quindi affrontata frontalmente attraverso la minaccia militare, la fine di qualsiasi negoziato sul nucleare e il ripristino totale delle sanzioni.
Infine, riguardo ai rapporti con il continente europeo, l’approccio trumpiano sarebbe simile a quello di Biden, cambierebbe solo la retorica. L’obiettivo primario di qualsiasi amministrazione al potere sarebbe infatti quello di “riattivare geopoliticamente” l’Europa, in modo da dividere i costi del mantenimento della primazia americana nel globo.
In sostanza: all’Europa sarà richiesto di spendere di più in difesa e sobbarcarsi i costi di alcuni dossier, tra tutti quello del contenimento della Russia e della ricostruzione dell’Ucraina una volta finita la guerra.
Come afferma l’ex consigliere del segretario di Stato Jeremy Shapiro, intervistato sul Financial Times, un secondo mandato di Trump sarebbe molto diverso dal primo. Le decisioni del tycoon sarebbero più gravide di conseguenze per la politica estera americana di quanto non lo fossero quelle prese durante la sua prima presidenza.
Per questo molti schieramenti politici e ideologici in America competerebbero stavolta per catalizzare le attenzioni della sua amministrazione per influenzarla in qualche modo, col fine non dichiarato di annacquare l’attitudine al personalismo del newyorkese.
Per approfondire
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