🇮🇱🇸🇦🇯🇴🇪🇬 Perché gli Stati arabi non possono abbandonare Israele
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🇮🇱🇸🇦🇯🇴🇪🇬 Israele e Stati arabi: una relazione conveniente
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🇮🇱🇸🇦🇯🇴🇪🇬 Israele e Stati arabi: una relazione conveniente
di Michele Ditto
Sebbene abbiano faticato a far passare la propria agenda nella guerra tra Israele e Hamas, gli Stati Uniti hanno ottenuto una piccola vittoria nella notte tra il 13 e il 14 aprile, data della rappresaglia iraniana contro Israele per il bombardamento del suo consolato a Damasco.
L’intento di Washington di avvicinare i Paesi arabi a Tel Aviv in funzione anti iraniana ha registrato un discreto successo quando le difese antiaeree della Giordania hanno intercettato fino al 20% dei missili e dei droni lanciati da Teheran. Anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno messo a disposizione degli Stati Uniti informazioni d’intelligence e i propri sistemi radar.
Nessuna alleanza formale ha chiamato a raccolta questi Paesi nella difesa di Israele, che viene spesso percepito dalla popolazione araba del Medio Oriente, filopalestinese, come uno Stato usurpatore.
L’evento è stato piuttosto il risultato di anni di graduale avvicinamento, oltre che un segnale concreto di come la guerra iniziata il 7 ottobre non abbia realmente mutato la volontà delle parti di continuare a cooperare per contenere l’Iran.
I Paesi arabi temono la potenza iraniana
Quando una potenza punta all’egemonia regionale, gli altri attori tendono a coalizzarsi, anche col proprio peggior nemico, pur di contrastarla. La tattica del balancing ha portato nella storia alle alleanze più insolite, come quella franco-ottomana del 1536 in funzione anti-asburgica, chiamata anche “empia alleanza” per via delle differenti fedi dei suoi contraenti. Tuttavia, la sua funzionalità fu più rilevante dello scandalo che provocò, e durò più di 250 anni.
Nell’attuale contesto mediorientale, i Paesi arabi vivono almeno dal 1979 sotto la costante minaccia dell’espansionismo iraniano. A cominciare dall’Arabia Saudita, lo Stato che più di tutti ha subito la sfida ideologica e militare di Teheran.
Rovesciare la dinastia dei Saud e conquistare le città sacre di Mecca e Medina, furono fin da subito gli obiettivi proclamati dal defunto Ayatollah Ruhollah Khomeini all’indomani della rivoluzione.
Negli ultimi anni Riyadh ha affrontato indirettamente l’Iran nella guerra contro la milizia sciita di Ansar Allah (Houthi), foraggiata e coordinata da Teheran. Nel 2019 un attacco di droni dallo Yemen colpì due strutture petrolifere in Arabia Saudita, tra cui la più importante installazione per il trattamento del petrolio al mondo. La produzione di greggio da parte del regno saudita fu dimezzata per diverse settimane, con una perdita di 5,7 milioni di barili al giorno.
Dall’altra parte l’Egitto, il più popoloso tra i Paesi arabi, conta una lontananza geografica da Teheran che rende la competizione con l’Iran meno accesa. Tuttavia, i rapporti tra la teocrazia e il Cairo sono rimasti tesi negli ultimi decenni.
Una fase inaugurata con la rottura delle relazioni diplomatiche nel 1979, su decisione di Khomeini in seguito alla pace firmata da Anwar Sadat con Israele. Le tensioni crebbero poi quando l’Egitto diede asilo al deposto Shah Reza Pahlavi e decise di sostenere l’Iraq durante la guerra contro l’Iran che ebbe luogo dal 1980 al 1988.
Con la primavera araba nel 2011 e il rovesciamento di Hosni Mubarak, i rapporti sembrarono sul punto di migliorare, soprattutto quando il defunto presidente Mohamed Morsi visitò Teheran nel 2012.
Tuttavia, con l’ascesa di Abdel Fattah al-Sisi due anni dopo, le relazioni si raffreddarono nuovamente, in gran parte a causa delle interferenze iraniane negli affari interni di Stati arabi come Iraq, Siria, Libano e Yemen. Tutti Paesi dove sono presenti proxies di Teheran.
Al di là dello storico dei rapporti dell’Iran con i singoli Stati arabi, a pesare nella definizione delle priorità strategiche di questi ultimi rimane la loro debolezza militare e le grandi problematiche interne, che li spingono a cercare la sponda dell’unica superpotenza in grado di supportarli significativamente, gli Stati Uniti.
Ad esempio, l’Egitto riceve da Washington 1,3 miliardi di dollari all’anno in aiuti militari, oltre ai prestiti del Fondo monetario internazionale (Fmi), fondamentali per la tenuta domestica.
Anche l’Arabia Saudita dipende per gran parte della sua sicurezza dall’apparato militare industriale americano: con 100 miliardi di dollari di foreign military sales è il maggiore acquirente dei sistemi d’arma a stelle e strisce.
Come l’Egitto, anche Riyadh sconta una grave fragilità interna data diversi fattori: il rischio terrorismo, la dipendenza dell’economia dalla produzione di greggio, le incognite della successione al trono e il malcontento delle comunità sciite nella Provincia Orientale.
Teheran può abilmente approfittarsi (lo fa già) delle debolezze dei suoi avversari per portare avanti il suo disegno egemonico nella regione. Al contrario, Israele non è percepito dagli Stati arabi alla stessa maniera dell’Iran, ovvero come una potenza eccessivamente minacciosa.
Sebbene la “Sparta del Medio Oriente” possa contare su delle eccellenti forze armate, la demografia e l’estensione territoriale dello Stato ebraico compongono dei limiti strutturali che non posizionano Tel Aviv nel ruolo di aspirante egemone della regione.
Cosa frena l’intesa tra arabi e israeliani
I motivi succitati spingerebbero immediatamente i Paesi arabi a formalizzare un’alleanza con Israele per fare fronte comune contro la minaccia iraniana. Alcuni Stati come il Bahrein, gli Emirati, la Giordania e l’Egitto hanno già normalizzato i rapporti con Tel Aviv in passato – nel senso che hanno riconosciuto lo Stato d’Israele.
Tuttavia, fare il passo successivo, ovvero ufficializzare una cooperazione politica e militare rappresenta una sfida non da poco per gli Stati arabi.
Intanto, all’appello di chi abbia stabilito normali rapporti diplomatici con Tel Aviv manca ancora Riyadh, uno degli attori più importanti della regione, la cui decisione segnerebbe una vera e propria svolta per la geopolitica del Medio Oriente.
A settembre del 2023, un mese prima del fatidico 7 ottobre, sulla scia del riavvicinamento formale tra Riyadh e Tel Aviv – ora in pausa – l’ambasciatore saudita in Giordania Nayef al Sudairi prometteva che la causa palestinese sarebbe stata al centro di qualsiasi accordo di normalizzazione con Israele.
È infatti molto complicato per i governanti arabi ignorare il tema della Palestina quando si tratta di instaurare un dialogo con Israele. Non tanto per una questione di riguardo per le sorti dei circa cinque milioni di palestinesi che vivono tra West Bank e la striscia di Gaza, ma per non entrare in rotta di collisione con la propria opinione pubblica.
Questa resta fortemente schierata dalla parte della Palestina, ancor più dopo che le crude immagini provenienti dalla guerra in corso hanno sollevato molte critiche feroci contro Israele, accompagnate da partecipatissime manifestazioni in tutti i principali Paesi mussulmani.
Nella pratica, dall’inizio della guerra a Gaza i governi arabi hanno tuonato solamente proclami di condanna verso lo Stato ebraico, ma non si sono mossi sul piano pratico. Addirittura, Il Cairo è rimasto silente anche a seguito di uno scontro a fuoco tra i suoi militari e le forze israeliane al valico di Rafah, che ha portato alla morte di una guardia di frontiera egiziana.
Un funzionario egiziano ha cercato di minimizzare la sparatoria, dicendo che si è trattato di un «incidente minore» e di «nessun significato politico».
Sembra strano dati gli enormi deficit democratici che li caratterizzano, ma il vero scoglio per i governi arabi che devono avvicinarsi a Israele è rappresentato dalla loro popolazione, maldisposta ad accettare l’inazione da parte dei loro governanti riguardo alla causa palestinese.
Gli Stati arabi faticano a far passare alla popolazione il discorso strategico per cui bisogna avvicinarsi a Israele per contenere la Repubblica Islamica. Ne consegue una mancanza di legittimità per compiere quello che dal loro punto di vista andrebbe fatto.
Il presentimento popolare di avere a che fare con una classe dirigente corrotta e infedele è ovviamente alimentato da Teheran, che accusa i governi arabi di collaborare con quello che dovrebbe essere il nemico di tutta la Ummah. Accuse complesse da gestire per i Paesi arabi musulmani, e che minano ulteriormente le loro capacità di decidere su determinati dossier strategici.
Ad ogni modo, le ultime notizie raccontano che Riyadh avrebbe promesso la normalizzazione dei rapporti con Israele in cambio di un patto securitario con Washington.
Contemporaneamente, i capi delle forze armate di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Giordania hanno tenuto in questi giorni un incontro con il capo di Stato maggiore delle forze armate israeliane in Bahrein, dove hanno discusso le prospettive di una cooperazione regionale congiunta.
Pare dunque decisa la volontà per i Paesi arabi di continuare a seguire il sentiero già tracciato e benedetto dagli Stati Uniti nei mesi precedenti il 7 ottobre 2023. Proprio l’attacco di Hamas quel giorno è stato giustamente descritto come una vittoria dell’Iran, in quanto ha ritardato l’intesa tra i Paesi arabi e Israele, pur senza affossarla del tutto.
Per approfondire
Consigli di lettura affidabili selezionati dalla Redazione di Aliseo
Gli Accordi di Abramo dopo l’attacco a Israele (Affari Internazionali)
Why did some Arab countries appear to help Israel? (Dw News)
The Gaza War Is Eroding Egypt-Israel Relations (The Washington Institute)
🇮🇹 Notizie dall’Italia nel mondo
Le trattative tra Leonardo e Knds per lo sviluppo del carro armato Leopard 2A8 per equipaggiare l'Esercito Italiano sono state interrotte. Secondo fonti di stampa, il disaccordo riguardava la percentuale di lavoro sulla piattaforma da svolgere in Italia e le specifiche componenti italiane che il carro armato, richiesto da Roma, avrebbe dovuto integrare. Questa notizia è particolarmente deludente poiché, al momento, l'unico progetto in corso a breve-medio termine per la componente pesante delle nostre forze corazzate rimane l'ammodernamento del carro C1 Ariete alla versione C2. Si tratta di una soluzione di compromesso, in attesa che l'Esercito venga dotato di un carro armato di nuova generazione.
«L'Italia ha stupito per essersi collocata per crescita economica subito dopo Stati Uniti e Canada nell'ambito del G7, davanti a Francia e Germania». Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto all'Assemblea annuale di Confcommercio mercoledì mattina a Roma. Allo stesso evento è intervenuto anche il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, che ha salutato con soddisfazione la decisione dell’Unione europea di porre dazi all’ingresso alle auto elettriche cinesi in Europa per tutelare la produzione del Vecchio continente.
Telespazio, la società nata dalla collaborazione tra l’azienda italiana Leonardo (67%) e il gruppo francese Thales (33%), investirà nel settore delle comunicazioni satellitari attraverso un accordo di partnership con SpaceX e la sussidiaria Starlink, proprietà del miliardario americano Elon Musk. L’obiettivo di Starlink è quello di fornire accesso a Internet ad alta velocità in tutto il mondo. Alessandro Caranci, responsabile della Business Line Comunicazioni Satellitari di Telespazio, ha espresso soddisfazione per l’accordo raggiunto. Attraverso questa collaborazione, Telespazio può ampliare la propria gamma di servizi nel settore delle comunicazioni satellitari, fornendo soluzioni complete per clienti istituzionali e settori industriali critici come l'energia e il trasporto marittimo.
Oggi più che mai sono indispensabili competenze importanti e la professionalizzazione delle Forze armate appare una scelta inevitabile e coerente che rimane pienamente valida. Lo ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto alla Camera, rispondendo a un’interrogazione sulle iniziative volte a promuovere il reclutamento nelle Forze armate. “Oggi ci confrontiamo con uno scenario difficile nel quale vecchie e nuove potenze operano per ridisegnare le loro sfere di influenza. Anche il contesto sociale, economico e culturale è profondamente mutato. Tutto ciò rende necessario compiere scelte strategiche per rendere il nostro sistema di difesa attuale credibile ed efficace sia in termini quantitativi, sia qualitativi”, ha spiegato Crosetto.
Un’assemblea straordinaria degli azionisti di Fincantieri ha conferito al consiglio di amministrazione (cda) la facoltà di aumentare il capitale sociale per un importo massimo di 500 milioni di euro, comprensivo di eventuale sovrapprezzo. Come era stato annunciato, l’aumento di capitale servirà per l’acquisizione da Leonardo di “Underwater Armament Systems” (Uas), che fa seguito alla recente acquisizione di un’altra società del comparto, la Remazel. Uas è specializzata in progettazione e costruzione di sistemi di difesa sottomarini e in particolare siluri, contromisure e sonar.
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