🇮🇱 Perché Israele non riesce a distruggere Hamas?
Le difficoltà dell'Idf contro Hamas; In più: come capire la guerra a Gaza; l'Italia nel mondo questa settimana
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🇮🇱 Le vere sfide di Israele nella lotta contro Hamas
🇮🇱🇵🇸 Come capire al meglio la guerra a Gaza
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🌍🔥 Cosa è successo nel mondo questa settimana
🇮🇱 Le vere sfide di Israele nella lotta contro Hamas
di Michele Ditto
Secondo l’intelligence statunitense, il leader di Hamas, Yahya Sinwar, la mente dietro l’operazione “Alluvione Al-Aqsa” del 7 ottobre, si nasconderebbe nei tunnel sotto la sua città natale, Khan Younis, a Gaza.
Una notizia che, se confermata, minerebbe ulteriormente la posizione del governo di Benjamin Netanyahu di fronte all’opinione pubblica israeliana e alla comunità internazionale, ormai disilluse dalla possibilità di sgominare il gruppo terroristico palestinese.
La consapevolezza circa l’infattibilità di sconfiggere totalmente Hamas – uno dei validi motivi per cui si chiede un cessate il fuoco tra le parti – sembra stia venendo accolta solo nell’ultimo periodo dagli alti papaveri israeliani, soprattutto da chi occupa posizioni di rilievo all’interno delle forze armate dello Stato ebraico.
Queste ultime sono da diverso tempo ai ferri corti con le forze di estrema destra al governo, che pare non sia disposta ad accettare una sconfitta tattica sul terreno.
Critiche in tal senso sono arrivate a giugno dal portavoce dell’Idf, il contrammiraglio Daniel Hagari, che ha definito come irraggiungibile l’obiettivo militare succitato, disapprovando così indirettamente l’operato del governo Netanyahu.
«Questa faccenda di distruggere Hamas […] è semplicemente gettare sabbia negli occhi del pubblico», ha detto Hagari in un’intervista a Channel 13 News il mese scorso, suscitando la ferma reazione del gabinetto di guerra israeliano, che in un comunicato ha riconfermato che la distruzione di Hamas rimane l’obiettivo ultimo del conflitto in corso.
Vi sono però alcuni dati significativi a dare in special modo ragione alla visione del portavoce dell’Idf: secondo stime statunitensi, Tel Aviv è riuscita a eliminare solo il 20-30% della forza militare di Hamas, mentre il 60-80% dei tunnel utilizzati dai terroristi sono ancora in piedi. In secondo luogo, il gruppo palestinese è stato capace di riorganizzarsi in questi mesi, riuscendo addirittura a sparare diversi missili verso Israele da una Gaza rasa al suolo.
Ciò dimostra come il governo Netanyahu sia ben lungi dal raggiungere l’obiettivo per cui il suo Paese è in guerra da oltre nove mesi. Le ragioni per cui Israele non riesce a sconfiggere Hamas sono infatti complesse e vanno oltre le mere capacità militari degli attori in conflitto.
Queste hanno a che fare con la natura peculiare delle sigle terroristiche, in particolare quelle come Hamas, impegnate in delle feroci lotte di liberazione contro un percepito invasore straniero.
Cosa tiene in vita Hamas
Nonostante Israele abbia causato notevoli danni ad Hamas – L'Idf ha affermato di aver "smantellato" 20 dei suoi 24 battaglioni – il gruppo terroristico resiste. Proprio sul concetto di resistenza si fonda l’ideologia del movimento palestinese.
Hamas non è solo un'organizzazione militare, «Hamas è un’idea, Hamas è un partito. È radicato nel cuore della gente: chiunque pensi che possiamo eliminarlo sbaglia» ha riferito sempre Hagari nell’intervista a Channel 13 News.
Questo carattere alquanto peculiare rende infatti difficile, se non impossibile, eliminare completamente la sigla terroristica solo attraverso l’impiego di mezzi militari. Hamas è un’entità che si riproduce quasi automaticamente sulla scia della disastrosa condizione del popolo palestinese a Gaza, e continuerà a farlo ancor di più dopo il devastante conflitto in corso.
La war on terror statunitense fa da scuola: non basta nemmeno la tecnologia militare più avanzata, decenni di guerra e miliardi di dollari per sradicare un’ideale di resistenza armata, destinato a perpetuarsi sine die a meno che l’invasore/occupante decida di ritirarsi, come ha fatto Washington in Afghanistan.
Il secondo aspetto che aiuta a tenere in vita il gruppo palestinese ha a che fare con la guerra asimmetrica: nonostante l'Idf abbia significativamente ridotto le forze di Hamas, i combattenti rimanenti sono passati a tattiche di guerriglia, facilitate dalla politica del “minimo sforzo” adottata dall’Idf.
Si tratta dell’utilizzo di piccoli gruppi composti da soldati d’élite e mezzi corazzati, in modo da ridurre le perdite umane al minimo. Una tattica obbligata, dato che lo Stato ebraico non può permettersi economicamente e politicamente di mobilitare l’intera riserva per periodi di tempo troppo lunghi, pena il collasso dell’economia.
Hamas lo sa e attraverso la guerriglia punta a logorare la volontà di guerreggiare delle forze armate israeliane, la cui sconfitta più eloquente è sicuramente quella rappresentata dai continui attacchi del gruppo terroristico alle sue retrovie.
Le zone alle spalle delle forze d’incursione israeliane sono state infatti presidiate solo in maniera saltuaria, data la scarsità di uomini a disposizione di Tel Aviv: 23 brigate nel momento di massima presenza e circa 10 brigate di media, ridotte a 6 nei primi mesi del 2024. Numeri che hanno impedito agli israeliani di prendere il controllo diretto di tutta l’area a nord di Gaza. Una garanzia per la sopravvivenza di Hamas.
Da ultimo, pesano anche le implicazioni umanitarie e politiche che renderebbero “sconveniente” una completa eliminazione di Hamas. Sostituire il gruppo terroristico con un’altra organizzazione palestinese non risolverebbe il problema, e un'occupazione prolungata di Gaza comporterebbe enormi costi per Israele, oltre a un crescente isolamento internazionale.
Per Tel Aviv significherebbe rendersi responsabile della fornitura di servizi, degli aiuti umanitari e della ricostruzione, rendendo necessaria la creazione di un’amministrazione civile. Inoltre, le forze israeliane sarebbero continuamente sotto la minaccia di attacchi terroristici da parte di lupi solitari, magari membri residui di Hamas o altre sigle terroristiche.
In un’intervista del 2016 al quotidiano palestinese Al-Quds, il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, disse che il prossimo conflitto a Gaza avrebbe posto fine al controllo dell’enclave da parte di Hamas, dato che l’Idf, attraverso l’uso della forza militare a tutto campo, avrebbe distrutto completamente la sigla terroristica.
Oggi la previsione di Lieberman non si è realizzata, nemmeno dopo 70mila tonnellate di bombe lanciate sulla striscia di Gaza, più di quelle lanciate su Dresda, Amburgo e Londra nel corso della Seconda guerra mondiale. Tutto ciò fa pensare a una cosa: Hamas sarà destinata a essere una spada di Damocle anche in futuro per la sicurezza dello Stato ebraico.
Per approfondire
Consigli di lettura affidabili selezionati dalla Redazione di Aliseo
Oltre Rafah, perché Israele non riesce a distruggere Hamas? (Aliseo)
Eu’s top diplomat warns Israel can’t defeat Hamas by military means (Politico)
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La guerra tra Israele e Hamas si trascina da ormai dieci mesi. Dall’inizio dell’operazione “Spade di Ferro” dell’Idf circa 39mila palestinesi hanno perso la vita, in larga parte civili. Il conflitto non è però ancora arrivato a un punto di svolta, anzi: le forze israeliane sono ancora nella Striscia e le capacità militari di Hamas non sono state ancora compromesse in maniera definitiva.
La guerra ha però modificato gli equilibri di tutta la regione, innescando una serie di fenomeni di portata potenzialmente globale: dalla possibilità di uno scontro in Libano agli attacchi degli Houthi, che hanno fortemente ridimensionato il traffico attraverso il Mar Rosso. Sullo sfondo, le crescenti tensioni interne a Israele e tra lo Stato ebraico e i suoi alleati.
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