🇺🇸 Perché la popolarità di Trump crolla
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🇺🇸 Il crollo di popolarità di Trump
🇺🇸 Il crollo di popolarità di Trump
di Michele Ditto
«Siamo qui per celebrare i primi cento giorni di maggior successo di qualsiasi amministrazione. E questo è solo l'inizio, non avete ancora visto niente», così Donald Trump durante un comizio in Michigan il 29 aprile, per celebrare la prima fase del suo secondo mandato come presidente degli Stati Uniti.
Peccato che gli americani non la pensino allo stesso modo: secondo un sondaggio del Washington Post in collaborazione con Ipsos e Abc, oggi la popolarità di Trump si attesta intorno al 39%, cioè il livello più basso negli ultimi ottant'anni dopo i primi cento giorni di amministrazione.
Si tratta di un calo significativo se considerato il tasso di approvazione vantato dal tycoon a pochi giorni dal suo insediamento nell’ufficio ovale: una media del 49% a inizio febbraio secondo i dati aggregati dall’analista indipendente G. Elliott Morris.
L’operato di Trump finora ha infatti mutato in fretta l’umore degli elettori. Un sondaggio del New York Times/Siena College ha individuato tre aggettivi che secondo gli intervistati descrivono al meglio questi primi cento giorni di governo: “caotico” (66%), “spaventoso” (59%) ed “eccitante” (42%).
Le cause del crollo dei consensi
Le cause di questo crescente malumore, notevole anche tra gli stessi deputati e senatori repubblicani, sono state identificate da un sondaggio del Pew Research Center principalmente nella malagestione della politica commerciale ed economica. Proprio il tema su cui gli elettori lo avevano ritenuto più affidabile di Kamala Harris.
I dazi non hanno solamente prospettato un aumento del costo della vita per il cittadino medio, ma hanno anche eroso i risparmi delle famiglie americane. Annunci, dietrofront e ripensamenti hanno contribuito al crollo di Wall Street, che è costato 5mila miliardi di dollari nell’arco di appena 48 ore – uno dei peggiori della storia.
L’unica nota positiva è la riduzione dell’inflazione – dopo essere arrivata al 9,1% nel 2022, è scesa al 2,4% a marzo – anche se la Federal Reserve avverte che i dazi porteranno a prezzi più alti. Per questo, il 61% degli americani non li approva (rilevazioni di Nbc/Cnbc) e il 54% prevede che le proprie finanze subiranno un netto peggioramento.
C’è stata poi la nomina di Elon Musk a capo del Dipartimento per l’efficienza governativa (Doge). Una scelta quanto mai controversa. Secondo un sondaggio del Washington Post/Abc/Ipsos, solo il 35% degli americani approva l’operato del Ceo di Tesla nell’amministrazione, contro il 57% che lo disapprova.
In questi primi cento giorni, la popolarità di Musk ha subito un calo ancor peggiore di quello che ha investito Trump, complice il fatto che gli americani non vedono risultati nei suoi sforzi per diminuire il peso degli apparati federali (solo il 43% degli americani crede che il Doge sia riuscito a ridurre gli sprechi).
L’immigrazione è invece l’unica materia sulla quale Trump registra alcuni successi, nonostante le innumerevoli cause giudiziarie che hanno colpito i suoi ordini esecutivi sul tema. I risultati qui sono tangibili: il numero di persone che sono entrate illegalmente dal Messico è sceso a 8.346 a febbraio e 7.181 a marzo, il livello più basso da sessant’anni.
Nonostante ciò, alcune decisioni hanno messo alla prova la tolleranza degli americani, come la deportazione di attivisti pro-palestinesi, immigrati legalmente negli Stati Uniti, oppure il caso di Kilmar Abrego Garcìa, 29enne salvadoregno espatriato per errore in quanto lo si riteneva affiliato all’Ms-13, un gruppo criminale di El Salvador.
Tutti questi casi hanno contribuito alla percezione degli americani per cui l’attuale amministrazione sia irrispettosa dello Stato di diritto. Sempre secondo il sondaggio Washington Post/Abc/Ipsos, il 62% degli elettori ritiene infatti che Trump stia andando oltre i poteri che gli vengono assegnati dalla Costituzione.
Infine, per quanto riguarda la politica estera, questa non ha un peso notevole nelle scelte di voto dei cittadini americani, che tendono a valutare più questioni di natura interna. Possiamo però dire per certo che il prolungarsi dei negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina non stia giovando all’immagine di Trump, che aveva promesso di chiudere il conflitto «in 24 ore».
Verso le elezioni di Midterm
Per un presidente americano, è comune sperimentare un notevole calo di supporto nei primi mesi del suo mandato. Nel caso di Trump, questa diminuzione è avvenuta appena più velocemente rispetto ai suoi recenti predecessori, ma non si tratta di un fenomeno inedito nella storia del Paese.
La differenza, oggi, sta tutta nelle smisurate ambizioni di Trump. Concetti altisonanti come “il ritorno all’età dell’oro”, frase pronunciata dal tycoon nel suo discorso d’insediamento, oppure il “giorno della liberazione”, espressione con la quale sono stati annunciati i dazi a tutto il mondo (persino ai pinguini delle isole Heard e McDonald), hanno un prezzo da pagare, politicamente parlando.
Quelle in cui Trump impegna l’America sono scommesse grandi, dunque molto rischiose. In democrazia si chiamerebbero “false promesse”, cioè ambizioni che una volta declinate nella pratica di governo finiscono per infrangersi con precisi limiti giuridici, che devono dar ragione a vincoli e contropoteri (Trump lo sa bene).
Questo non giova sicuramente alla credibilità del presidente e della sua ricetta per il ritorno a una fantomatica golden age. Trump trova infatti un capro espiatorio nello Stato profondo (gli apparati federali), che continua ad attaccare, definendolo il principale ostacolo alle sue riforme.
Una retorica che trova terreno fertile nel clima polarizzato dell’America del 2025 – soprattutto tra le schiere dei trumpisti più radicali – ma che potrebbe presto stancare l’ala degli elettori più indecisi. Gli stessi che, volta per volta, con il loro voto regalano la vittoria ai democratici o ai repubblicani.
Tra meno di 18 mesi si terranno le elezioni di Midterm, fondamentali per i repubblicani al fine di mantenere la maggioranza in entrambe le camere del Congresso. È ancora troppo presto per fare qualsiasi previsione circa i risultati, ma una cosa è certa: il trumpismo attraversa una prima, grave, crisi.
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